“…sappi che canta da quando è salito in auto dalla felicità per la ripartenza del corso! Ciò che riesce a realizzare grazie a te ci lascia strabiliati… Ma è la sua gioia incontenibile che più ci colpisce e ci appaga!”
Questo è parte del messaggio che la mamma di uno dei bambini del mio corso di fumetti mi ha mandato ieri sera, un’ora dopo il termine della lezione.
“…gioia incontenibile…”
Il sorriso che mi si è stampato immediatamente sul volto potete ben immaginarlo, credo.
La rivoluzionaria gioia incontenibile
Da quando ho iniziato l’avventura di Dillo con un fumetto sono preda di due forze che mi trascinano in direzione diametralmente opposte: una fatta di carta ruvida, dell’odore del legno delle matite e dello sporco del nero di china tra le unghie e l’altra fatta della fredda plastica dello smartphone, delle notifiche ed email 24h su 24, di like, di follower, di SEO. Queste due anime sono una sorta di yin e yang del fumettista freelance 2.0; sembra quasi impossibile che possano coesistere insieme, ma una ormai è diventata indispensabile all’altra. Non si scappa, qualsiasi artigiano e/o artista deve fare i conti con la promozione del suo personal brand sul web, il che comporta il fatto di passare ore e ore davanti ad un monitor che di umano non ha nulla per relazionarsi a persone di cui in fondo interessa solo che clicchino su quel maledetto “mi piace” per appagare i gli sforzi. Per non parlare poi dei dubbi amletici che mi assillano da quando mi sono licenziato dal mio impiego da dipendente a tempo indeterminato “Avrò fatto bene? Sposato? A 35 anni? Con un figlio piccolo???” e che ogni tanto mi provocano emicranie dovute alla pressione alta (ve ne avevo già parlato qui).
Poi per fortuna il fattore umano riemerge.
Lo fa attraverso le email delle persone che mi contattano e mi raccontano le loro vite perché io possa trasformarle in un fumetto.
Lo fa attraverso la conoscenza di splendide persone durante i mercatini handmade, i “compagni di banco” che condividono caldo, freddo, zanzare, magri guadagni ma che hanno sempre una parola di conforto.
Lo fa attraverso i bambini. Se mi avessero detto qualche anno fa che avrei tenuto dei corsi di fumetti per bambini gli avrei quantomeno riso in faccia. Far corsi? Io che in classe a scuola appartenevo a quella “terra di nessuno” in cui il professore di turno non riusciva a distinguere nessuno e che a malapena riusciva a ricordare il mio cognome? Che prima di proferire parola per dire la mia mi mordevo la lingua dodici volte e quando mi decidevo a farlo diventavo rosso peperone? Io che ho abbandonato l’università non-so-nemmeno-ora-il-perché (o-forse-sì-ma-non-lo-voglio-ammettere)? Io, l’eterno brev fiol (“bravo figlio” in modenese) che però di suo nella sua vita c’ha messo sempre poco, troppo poco?
Sì, io.
Perché non io?
Insegnare è imparare. Imparare a dare per ricevere. E quello che ricevo oltre ai complimenti dei genitori è vedere quella scintilla che brilla nei loro occhi quando dico e faccio la cosa giusta. È la loro curiosità che lezione dopo lezione cerco con tutti i mezzi di alimentare e che mi guida nella giusta direzione. La stessa direzione che in quel malinconico capodanno 2010 brindando con un paio di amici ho giurato che avrei cercato di seguire con tutti i miei mezzi: la mia felicità.
Ma che potenza hanno queste due parole? Fermatevi ad ascoltare il loro suono.
Gioia.
Incontenibile.
E voi quand’è stata l’ultima volta che l’avete provata?